A PROPOSITO DI PASSIONE…
Come ben sa chi mi frequenta e/o legge con costanza, ho sempre negato di aver iniziato ad occuparmi – con dedizione e intensità temporale e professionale- di basket peraltro non in verde età, per quella che comunemente viene chiamata passione.
Anzi mi ribello alla idea che lo si possa fare per passione. Si tratti di atleti, tecnici, dirigenti.
Pubblico.. tifosi… sostenitori… fan… si lo fanno per passione.
Ma quello è il loro compito, i loro ruolo, a loro questo si chiede, non altro, e se non lo fanno per passione loro non si capisce chi e perché lo debba fare.
Ciò non significa che ad un certo punto atleti, staff, tecnici, dirigenti … non si debbano né possano emozionare, coinvolgere emotivamente. Significa che non può essere quella la chimica che li avvicina al risultato né quella che scandisce ritmi ed intensità del loro impegno.
Non sono mai riuscito a spiegare questi concetti – che a me paiono semplici, scontati, chiari, persuasivi e convincenti, con le parole giuste a chi mi interpella sull’argomento. Tantomeno ai collaboratori e agli attori a diverso titolo impegnati in Tarcento Basket, che non me lo chiedono- peraltro sono molto poche le cose che mi chiedono, convinti come sono che una volta fatti due palleggi o tiri sul parquet il loro compito sia ampiamente esaurito – e che invece vorrei educare e fidelizzare a questo credo. Che è un credo di vita prima che di gioco.
In questi giorni ho trovato questo pensiero spiegato molto bene in due interviste a due soloni che il basket praticano e conoscono molto bene e meglio di chiunque altro.
La prima intervista è- pubblicata da Repubblica – rivolta a Dan Peterson nei giorni della enorme emozione in tutto il mondo per la tragica scomparsa di KOBE BRYANT, nell’incidente in elicottero. L’ex coach e poi commentatore televisivo viene intervistato proprio sul campione appena scomparso, “uno di noi” lo chiama e definisce.
La seconda intervista è tratta dal Venerdì di Repubblica nel numero in edicola in questi giorni, ed è rivolta a Sasha Djordjevic, già giocatore di Belgrado nella nazionale Iugoslava, oggi coach della Virtus Bologna. Sasha nella intervista spiega meglio di chiunque altro perché “ha paura solo delle emozioni”
Ecco allora che voglio affidare a questi due testi l’elogio del basket come vettore della emancipazione sociale, della educazione al senso di comunità, della solidarietà come motore del gioco di squadra e del successo inteso come impresa collettiva.
Per questo un gioco al quale applicarsi con metodo, disciplina e costanza. (AT)