Urge cambio di passo: quarta puntata
Premessa: Breve, ma necessaria. Che la ripartenza sarebbe stata lunga e faticosa lo sapevamo e lo abbiamo messo in conto. “Semina oggi per raccogliere domani…. “ mi dicono e ripetono i coaches da mesi e me lo sento dire da tutti- amici, tifosi, colleghi presidenti e dirigenti, arbitri, simpatizzanti. Il tono è chiaramente – almeno in questi ultimi casi- consolatorio, sincero. L’incoraggiamento più a non demordere più convincente è quello di coloro che aggiungono : “Ci siamo passati tutti. Ora non devi guardare alle classifiche ma al progetto e attendere i risultati da qui a qualche anno”.
D’accordo. Però tra pochi giorni ne faccio 64 e la salute è quella che è, ma quando arriveranno i risultati vorrei esserci , vederli e compiacermi con i ragazzi e i loro generosi, appassionati, bravi e competenti coaches. Non per niente, ma perché sarebbe la sola vera ricompensa e gratificazione.
Però, c’è sempre un però: in questa stessa ottica ed in coerenza con essa – per il poco che fin qui ho imparato di basket, a forza di vederlo e commentarlo con chi ne sa più di me – qualche conto non mi torna. Nell’atteggiamento e spirito collaborativo che ho già detto – vorrei qui parlarne. Non fosse altro che per guadagnarmi il pane e togliermi qualche sfizio.
Come la “Gaudium et spes”: agosto 1975, nei colli del Chianti senese, sotto un magnifico pergolato, a cena di panzanella – il mangiare dei poveri contadini toscani – ambiente da dove proveniva -, piatto di solo pane, olio, spezie, aromi- ed un calice di ottimo chianti, in compagnia di monsignor Enrico Chiavacci- illustre teologo gesuita, filosofo moralista, docente, intimo di Papa Paolo VI , suo stretto collaboratore e principale estensore della più celebre ed importante Enciclica conclusiva del Concilio Vaticano II, la Gaudium et Spes.
Enrico Chiavacci era, tra l’altro, un raffinato e spassosissimo affabulatore, per cui una cena /serata con lui per di più in un contesto /location del genere era un privilegio raro. Quella sera decise di intrattenere me e gli altri tre ospiti, narrandoci un episodio inedito, spiritoso e rivelatore del tempo. Dopo aver elaborato e steso quella che egli riteneva la versione finale della Gaudium et Spes – la Quarta Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo- la sottopose al vaglio di Sua Santità Papa Montini, Paolo VI. Il testo iniziava così: “ Le angosce, Le tristezze, le gioie e le speranze degli uomini d’oggi – dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le angosce e le gioie della Chiesa”. Papa Montini temprato dalla carriera vaticana prima e in arcidiocesi di Milano poi, si intendeva di comunicazione più e meglio dei padri conciliari. Disse che un abbrivio del genere sarebbe apparso stonato e di cattivo auguri. Insomma un incipit da menagrami. Volle l’inversione . Infatti il nuovo testo , quello poi approvato e divulgato inizia cosi: “ Le gioie e le speranze, le angosce e le tristezze…..”.
Così– molto più modestamente -farò io:
parlerò e dirò di ciò che va e funziona per parlare e dire anche di ciò che non funziona. Ovviamente a mio parere.
Le squadre giovanili sempre con alti e bassi, a forza di buscarle e sentirle, vanno meglio: partiamo dall’U13, la più problematica, anche perché la più “ disgraziata”: un gruppo eterogeneo, messo insieme con diversi buchi e vuoti, generazionali e di esperienza con il grande limite – che si conferma sempre più netto – di non portarsi dietro un buon minibasket con fondamentali maturati e metabolizzati o di portarseli a sprazzi e a lune. Si proprio a lune, perché questo gruppo denuncia un grande limite congenito e strutturale : nonostante i molti rimbrotti e richiami non ha mai dimostrato – nella gran parte dei ragazzi – di aver colto , compreso ed accettato il salto e la differenza tra minibasket e settore giovanile, che milita in un campionato, per quanto soft e light possa essere quello di U13. Così – a causa soprattutto di alcuni ma buoni guastatori d’assalto – gli allenamenti faticano ad andare oltre alla dimensione ludica costitutiva del minibasket ma alquanto deleteria oltre. A causa di ciò gli allenamenti vengono in gran parte vanificati e quando si va in partita di fronte ad avversari che generalmente provengono da un minibasket più e meglio praticato e metabolizzato e per di più dal fisico più robusto e tonico, quando si va in partita – dicevo- troppo spesso: ai rimbalzi la palla non è presa – se e quando miracolosamente è almeno toccata- ma pattafata e .. dove finisce finisce , il più delle volte afferrata dagli avversari, il gioco è troppo spesso lento dando così tempo agli avversari di organizzarsi in difesa e di reagire con successo grazie a mortiferi contropiede, quando folgorati da illuminazioni improbabili, si accelera con passaggi talmente veloci da cogliere di sorpresa i compagni per primi o da schiantare il pallone fuori dal campo, troppo spesso il passaggio ha il sapore della liberazione da un impaccio o imbarazzo piuttosto che dell’avvio di una azione di gioco, per di più messa in scena talmente platealmente che i primi ad accorgersene sono gli avversari così intercettano quello che avrebbe voluto essere un passaggio ma finisce con il diventare un autogoal. Qui il basket centra e non centra, è più questione di approccio ed atteggiamento, per cui la collaborazione dei genitori sarebbe basilare. Invece o noi non sappiamo chiederla ed ottenerla o loro non la vogliono dare – o per indisponibilità o perché ritenuta un prezzo troppo caro, a partire dal caso davvero stucchevole di assistere ai figli che in campo non trovano tempo e condizioni per concentrarsi sul gioco ma lo trovano per cercare la approvazione dei famigliari dopo una qualsiasi loro azione.
Se non è boicottaggio questo….., ma tant’è…. Però non sempre si riesce a .. “cantare e portare la croce”.
Il primo alleato/compagno è il tabellone : fino a ieri non credevo che la letteratura ufficiale lo collocasse tra i fondamentali. Invece non senza sorpresa ho scoperto che è così. Bene, anche quando i nostri ragazzi Under 13 perdono di qualche ventello o oltre dopo aver subito un diluvio di canestri da parte degli avversari è anche perché costoro giocano come il giovane Tom Cruise e l’anziano Paul Newman nel famosissimo film che li vede in coppia svaligiare a biliardo Las Vegas. Così i nostri avversari utilizzando come si deve e va fatto il supporto del tabellone vanno sempre a canestro, mentre la nostra armata Brancaleone rincorre – chissà perché ?- il canestro pulito tale da non sfiorare nemmeno ferro e rete. A volte ci sono domande davvero inspiegabili, questa è una di quelle.
Fossimo in Croazia o in Slovenia: si sa … il tiro libero è un tiro che fa storia a sé, però esiste e fa pure statistica, quindi conta. Ma i giocatori lo sbagliano in tutte le categorie e campionati, pure in NBA. Però se e quando vedi che non ne azzecchi uno che sia uno per mesi e mesi, dovresti fare come in Slovenia e in Croazia, dove quando un ragazzo si trova in queste situazioni, come nel caso della difficoltà a riconoscere il tabellone e a renderselo amico e complice – spontaneamente e senza coercizioni da parte di coach, compagni o società – la mattina prima e dopo scuola va in palestra e si mette al tiro e ne prova per ore ed ore finché l’impasse è superata con successo. Questo tempo si aggiunge spontaneamente a quello di allenamenti e competizioni. Da noi ci sono alcuni ragazzi che hanno fatto coming out, e per maggiore pace con sé prima che con gli altri, fanno training autogestito, con l’amorevole cura dello staff. E’ buona, ottima cosa ma molti altri lo dovrebbero fare anche perché ben più scarsi di chi già lo fa. Non traggo la morale perché è fin troppo intuibile.
Meglio i lunghi o i bassi? E’ come la domanda sulla moglie augurata. … che la fasa.. che la piasa.. e che la tasa. dicevano in Veneto, dove si accontentavano di poco e non erano interessati alle ricchezze. Quindi, servono questi e quelli e a volte risultano decisivi i primi , a volte i secondi. Una cosa è certa, quando – come nel caso del derby con Tricesimo – 3 lunghi mettono a segno la bellezza di 2 punti è duro spuntarla. A chi ha osservato che se il gioco è impostato prevalentemente sugli esterni che tirano da fuori è arduo per il lungo prendere il rimbalzo e andare a canestro perché tagliato fuori dai propri compagni, ho replicato che i nostri lunghi avrebbero dovuto fare canestro con i rimbalzi degli avversari non con quelli dei compagni di squadra.
Il ruolo: lo interpreti tu come meglio ti viene o è quello che ti assegna il coach? La risposta più scontata è ovviamente lo decide il coach, ma onestà vuole si riconosca la diversità di pensiero e delle scuole. Io – pregiudizialmente aderisco e preferisco la prima. Anche perché, se le cose vanno bene l’attribuzione dei meriti è chiara, se non vanno bene è più facile e chiaro parlarne. In generale e di solito non si pongono problemi, se ne pongono più spesso nella figura del play- Parlo per esperienza diretta e non per sentito dire. Penso almeno a tre casi con i quali ho dovuto affrontare molti problemi tra giocatore, compagni e coach del tempo: Johnathan Manon, Alessandro Mecchia, Federico Bagnarol. A suo modo ed in un certo senso pure Stefano Antena, così i casi salgono a 4. I primi due- Menon e Mecchia – erano molto chiari: semplicemente, con motivazioni e cause diverse, si rifiutavano di giocare da play, fino al punto di preferire la panchina o la diserzione rispetto ai compiti assegnati. E’ chiaro come la cosa si risolse in entrambe i casi: i ragazzi non furono confermati dopo un anno di inutili tentativi di persuasione. Quanto a Bagnarol, disciplinatamente e diligentemente rispettava il mandato, portava su palla. Peccato che la passasse al compagno solo dopo aver prima tentato di andare lui a canestro e quando aveva realizzato che non c’erano alternative a lasciare che ci andasse un compagno. A volte lo realizzava in tempo utile, a volte poco prima di averci provato talmente a lungo di trovarsi già oltre il canestro. Quanto a Steve Antena è arcinoto che – tralasciando il carattere non particolarmente solidale- a me è sempre piaciuto come interpreta il ruolo. Forse un po’ troppo rigido e matematico, schematico, ma sicuramente affidabile, regolare e continuo, poco fantasioso, ma anche per questo meno esposto ed incertezze da brivido. Comunque mai noioso. Certo che se il play non porta su palla per niente o pensa solo a fare canestro – non importa se da fuori o in penetrazione- i problemi si pongono eccome. E’ fuori discussione che qui la prima e l’ultima parola spettano al coach e a lui solo.
Se per fare allenamento in prima squadra devi reclutare e coinvolgere i ragazzi delle giovanili, intendiamoci subito, non solo nulla di male e tutto bene. Ma lo è a condizione e se è un arricchimento, un di più finalizzato a gratificare i ragazzi volenterosi e capaci delle giovanili e ad accelerare la loro crescita verso le categorie superiori. In fin dei conti, questo è il vero senso e il principale obiettivo della nostra ripartenza. Invece se è la condizione per riuscire ad imbastire un allenamento con la prima squadra , decimata da assenze in parte giustificate ma in parte molto discutibili. Ho dovuto chiudere la stagione scorsa CGOLD discutendo molto con i giocatori sul senso dello sport dilettantistico e non professionistico, ma professionale per mettere a fuoco una intesa condivisa ed efficace. Tutto mi sarei aspettato e tutto avrei voluto tranne che doverlo rifare nella pausa lunga delle festività di fine anno solare e metà anno sportivo. Ma la colpa e la responsabilità sono tutte mie.
Temo di essere stato reticente o poco esplicito all’inizio di anno , quando vanno definite le regole della convivenza e fissati i paletti non discutibili. Ho sbagliato a ritenere alcuni aspetti ovvi e scontati anche perché ovunque praticati ed applicati. Ciò detto, voglio dire però che qualcuno ciurla nel manico quando cadendo dalle nuvole con candore degno di miglior causa e lamentando di non essere stato avvisato prima dimentica di riconoscere che a suo tempo non si sapeva nemmeno che il deficit di amalgama , di benessere , di reciprocità – in stima, amicizia, spirito di corpo e squadra, solidarietà- del team a dicembre sarebbe stato così pronunciato. Una buona e solida società se consuma giugno, luglio ed un pezzo di agosto per capire e decidere in quale campionato giocare e a fine agosto decide di ribaltare tutto non può non mettere in conto la aleatorietà e i tempi lunghi della via intrapresa ? Può darsi, ed in parte è sicuramente così.
Ma allora – per le stesse ragioni, dico e grido che un giocatore, qualsiasi egli sia, a qualsiasi livello abbia prima giocato, fosse pure la promozione o il campionato UISP, se non sa che durante un campionato non è possibile che una settimana passi priva di almeno un paio di allenamenti, è meglio che si dia ad altro.
Qui non centrano chiarezze di prima o di dopo, dilettantismo o professionismo, contratto o no, rimborso o no, è una verità elementare che se i muscoli e il fisico in generale durante le feste natalizie – sicuramente non il periodo più sobrio e parco dell’anno, tra l’altro- stanno del tutto fermi per una settimana, poi alla ripresa del campionato ed in vista di possibili play off o play out, quasi certi uno dei due in ragione del regolamento del campionato che non prevede spazi di mezzo, per cui o stai di qua o di là , cioè devi faticare fino a tutto maggio e forse fino a metà giugno. Se a dicembre ti fermi per una settimana, mangi e bevi come un maiale non ti muovi, ti voglio vedere alla ripresa del campionato nei contropiede, nei rimbalzi, in difesa. Non ci voglio nemmeno pensare.
Se i ragazzi dell’U16 lo hanno capito e alcuni della prima squadra no, vuol dire che viviamo in un tempo davvero miserevole. (AT)